Partito Democratico Paderno Dugnano

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Chi e perché ha ucciso Aldo Moro – La democrazia violata

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L’intervento dell’onorevole Gero Grassi, esponente PD, venerdi sera in aula consiliare (27 maggio 2016 – n.d.r) non si può nemmeno lontanamente riassumere in quattro righe. Gero Grassi ha studiato a fondo gli atti ufficiali del sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro e ci ha dimostrato di essere in grado di parlare ininterrottamente per più di due ore del caso Moro, fornendo una sintesi politica, storica e sociale dei fatti del tutto lucida e appassionata.

Per chi volesse approfondire e recuperare la mole di informazioni inerenti l’omicidio dello statista democristiano può accedere al sito del parlamentare – gerograssi.it.

Quello che a me resta da fare è cercare di trasmettere il senso di una serata come quella a cui ho partecipato, uscendone ancora più consapevole che cercare la verità sui fatti oscuri del nostro passato (dalle stragi di stato al terrorismo, dai delitti eccellenti – Moro e Mattei – alle ombre criminali che ancora si aggirano tra noi) significa difendere e rafforzare la nostra democrazia, troppo spesso violata.

Per questo, di Moro, sacrificio umano sull’altare di interessi occulti nazionali e sovranazionali, “non si può resuscitare il cadavere ma occorre rendergli giustizia”. Perché il caso Moro è il caso Italia.

Gero Grassi non ha avuto remore a ricostruire i fatti partendo proprio dai tanti nodi che si sono intrecciati intorno alla vicenda umana e politica di Aldo Moro.

Ha parlato di più livelli di complicità intercorsi tra soggetti lontani tra loro sia dentro lo scenario nazionale (l’Arma dei carabinieri che nei suoi vertici “tifava” per una soluzione greca o cilena della crisi di quegli anni insieme agli esecutori materiali del delitto, le Brigate Rosse) sia dentro lo scenario internazionale (Usa e Urss che si combattevano ovunque in Italia si ritrovano sullo stesso fronte per bloccare la politica di apertura ai comunisti a cui Moro stava lavorando e con successo).

IMG_8438Ora su questo punto credo occorra alzare la nostra attenzione: il progetto politico di Aldo Moro non era né avventuristico né tattico (come invece fu per chi ne usurpò il ruolo, quell’Andreotti che di fatto usò il compromesso storico per imbrigliare i comunisti italiani e bloccare il sistema Paese).

La sua visione era quella di uno statista vero, profondo difensore delle sue radici democratiche e cristiane – quelle che lo avevano spinto a promuovere la riforma della scuola italiana per togliere l’analfabetismo dal Paese e che considerava la scuola un ascensore sociale per quei soggetti meritevoli che non avevano avuto la fortuna di nascere in famiglie abbienti, ad esempio – e che per questo riteneva che “i diritti vanno riconosciuti alla persona, e non concessi dallo Stato”.

Un uomo di governo che scelse di nazionalizzare l’energia elettrica contro gli interessi particolari di allora che mettevano un freno allo sviluppo di intere aree del Paese, e così facendo debellando parte della miseria diffusa soprattutto nel mondo agricolo.

Una personalità scomoda per chi ha sempre ritenuto che gli interessi italiani dovessero restare nella mani di pochi e subalterni alle volontà extraterritoriali (non a caso nel 1974 ricevette il primo avvertimento da parte di Henry Kissinger, segretario di Stato americano, che gli prospettò la “rimozione” dai suoi compiti se non smetteva di porsi in contrasto con gli interessi a stelle e strisce).

Per non parlare dei servizi segreti italiani, deviati e non, e dell’allora segrete strutture parallele ai livelli dello stato (P2 e Gladio, che tanto per essere chiari conducevano a Licio Gelli e Francesco Cossiga), nemici giurati di qualsiasi progetto che potesse sconvolgere l’ordine costituito su scala internazionale, dietro cui si celava la volontà di detenere il potere al di là dell’espressione popolare, con ogni mezzo e al fine di trarne il più particolare vantaggio.

In questo scenario, le Brigate Rosse, la cui matrice rivoluzionaria di stampo comunista si trova in rotta di collisione con l’allora guida del PCI (incarnata da un altro statista il cui rilievo gli sarà attribuito solo dopo la morte, Enrico Berlinguer), capace di intercettare il sogno di Moro: collaborare per un Paese libero dalla logica della guerra fredda che ne frena lo sviluppo e l’equità sociale, per inserire l’Italia in un consesso europeo avanzato, dentro un’Europa capace di competere con le due superpotenze (Usa e Urss) e di promuovere una democrazia più larga, inclusiva delle masse lavoratrici.

Aldo_MoroPer Moro l’idea guida stava nel democratizzare ancor più il sistema Paese e sbloccarlo da una logica di potere i cui guasti (corruzione, privilegio, malaffare) erano già tutti ben visibili.

Non era una semplice “apertura a sinistra”, di più: era lo sblocco di una democrazia incompiuta, che includesse nel processo anche il più grande partito comunista d’occidente perché il risultato avrebbe rafforzato la democrazia italiana e non l’avrebbe messa in pericolo (anche perché da tempo il PCI dava segni di emancipazione dalla sovranità sovietica – tanto che Berlinguer dovette subire un “incidente” automobilistico a Sofia in cui perse la vita il suo autista).

Le Brigate Rosse si trovarono così sulla stessa sponda rivoluzionaria di chi voleva impedire il pieno sviluppo democratico del Paese e finirono per essere il braccio armato di chi voleva una democrazia bloccata.

Ma di certo non avevano quella “potenza di fuoco” di cui tanto si parlò allora. In via Fani, dove avvenne il rapimento di Moro e l’uccisione della sua scorta, il “gruppo di fuoco” in realtà si basava su un tiratore particolarmente abile da cercarsi fuori dal contesto brigatista, mentre altre presenze ritratte nelle foto dell’epoca danno da pensare : ci sono profili di appartenenti alla banda della Magliana, alla ‘ndrangheta, ai servizi segreti di Paesi diversi – quelli in guerra tra loro da tutte le parti del mondo ma in questo scenario tacitamente alleati.

Una serie di “convergenze parallele” per usare un’espressione che rese celebre proprio Aldo Moro, al cui rapimento (che poi dovesse morire era già scritto) assistettero coscienti, ognuno perseguendo un proprio interesse ma ciascuno traendo un proprio vantaggio (ai brigatisti servì in un secondo momento, calato il sipario sugli anni di piombo, per costruirsi una nuova vita di consulenze ministeriali e approdi professionali al riparo da ogni giudizio di verità).

A questo punto davvero sembra mancare l’ossigeno.

Ciò che ci dà la forza di ricordare, ricostruire e difendere la memoria di quegli anni è la consapevolezza di farlo per poter vivere in un Paese più libero, democratico e giusto.

E perché il sacrificio di Aldo Moro davvero non sia invano.

Per ultimo vi dirò chi, secondo Gero Grassi che lo ha fortemente motivato, fosse il capo delle Brigate Rosse: Giovanni Senzani, uno che lavorava di giorno per il Ministero di Grazia e Giustizia e di notte per le BR, ma che non fu mai giudicato per il delitto Moro perché la sua appartenenza alle BR – riconosciuta – è datata novembre 1978, sei mesi dopo il delitto dello statista. Lo ha stabilito un tribunale il cui giudice era il padre dell’avvocato difensore di Giovanni Senzani.

Purtroppo non è una barzelletta.